Il fattore "Assoluto"


L’intero racconto dei miei libri si basa sul concetto di Assoluto, di Dio. E’ qualcosa che mi porto dietro da sempre, da quando mi ricordo di me, questa tendenza a cercare di raggiungere il cuore ultimo di ogni situazione, oltre l’apparenza, oltre qualunque suo aspetto che sia mutevole e soggetto ad azioni. Non so perché mi fosse così chiaro, ma Dio doveva rappresentare questa intoccabilità, e in ogni circostanza mi spingeva a cercare più in profondità. Nessuna risposta mi basta mai, sono un’eterna scontenta, perché finchè posso parlare di qualcosa, mi sento ancora di essere sulla superficie degli eventi. Così, il mio rapporto con Dio è sempre stato molto personale e stretto; persino ai tempi del catechismo, quando ci venivano insegnate le prime preghiere da recitare, ricordo che non volevo colloquiare con Gesù, da me inteso come un intermediario, ma con il Grande Capo. Gesù non sembrava come me, ma non era ancora abbastanza. I miei dialoghi serali con il cielo puntavano quindi a ciò che di Ultimo poteva esistere. Non mi era chiaro in termini di comprensione cosa fosse quello che stavo cercando, ma i miei desideri nel corso degli anni, in modi molto diversi, hanno sempre puntato alla possibilità di indagare la natura di questo Assoluto. Cosa significava? Con quale sensazione estatica avrebbe coinciso la riconnessione con il divino? Sarei diventata buona e felice? Misuravo l’azione delle mie preghiere sui cambiamenti che pesavo esse dovessero manifestare nei miei atteggiamenti. Quanto distante mi appariva Dio, osservato dal filtro dei miei occhi di creatura imperfetta, manchevole, incompleta. Come avrei mai potuto raggiungere la santità che l’idea di Dio richiedeva?

Eppure, la cosa curiosa, è che Qualcosa mi rispondeva sempre. Quando parlavo al cielo, quando non comprendevo quello che stavo vivendo, quando avevo un dubbio o una domanda, … non c’era bisogno nemmeno di esprimerli a parole o con il pensiero: una sorta di Presenza sembrava sempre lì, ad intrattenere un dialogo che non è mai cessato, fatto anche di silenzi, pur portatori di grande chiarezza, di intuizioni, realizzazioni, fallimenti. Questo devo dirlo: non mi sono mai sentita sola, so di non esserlo mai. Che poi questa presenza sia intesa come una qualche entità, una voce nella mia testa o addirittura una mia diversa personalità, beh, non mi è mai importato saperlo, credo anche che nel corso degli anni io abbia pensato differentemente a tutte queste possibilità, rendendone reale una alla volta. Solo che anche qui, non era sufficiente. Non era sufficiente parlare con i Maestri o gli Angeli, finchè essi mi apparivano come separati da me. Non ho mai letto tutta la Bibbia, soltanto alcuni pezzetti dei Vangeli, e proprio perché ci venivano letti a messa, ma avevo colto qualcosa in quelle poche parole che sembrava, non so perché, sfuggire a quasi tutti. Dio era l’Onnipotente e Onnipresente. Una sola frase, così lampante da non averla compresa per molti anni. La natura di Dio era tutta descritta qui: Dio è Tutto. Ah, penso di aver cominciato a respirare davvero solo quando questa rivelazione si è spalancata: essa annullava di colpo qualunque distanza fra me ed il creatore, poiché se Egli era ogni cosa, doveva essere per forza anche me, ogni singola parte di me. Finalmente eravamo insieme, avevo trovato la mia divinità. Da questa porta che si è aperta, ogni cosa ha preso una direzione diversa, e tutto mi è sembrato trovare un vero ordine, dove prima era sempre stato solo caos. Qualcosa ha iniziato ad accadere, mi sono accorta che le cose proseguivano senza bisogno di me, della mia interferenza: nessuna comprensione sembrava più essere giunta come una mia conquista, ma come l’affacciarsi alla consapevolezza di qualcosa che era sempre stato lì.

Da questo punto del racconto, i passi a cui sono stata condotta sono tutti descritti nei libri e non starò a ripeterli nuovamente, ma al di là del quadro della mia visione che ne è derivato, non posso che guardare a come Dio sia diventato il modo più concreto di vivere una realtà materiale che per me non lo è affatto, a dispetto di ogni incomprensione esterna: ciò che trascende la dualità è la chiave per comprenderne l’illusorietà.

 Quando si raggiungono certe profondità, quelle in cui la parola non è più capace di per sé di offrire comprensione, una delle domande più frequenti è come sia possibile coniugare questa consapevolezza con la vita quotidiana, come se potessero essere due cose distinte. Nel porre questo quesito, colui che lo sta esprimendo sta ancora pensando che Dio possa essere alla portata della propria percezione. Per cercare, nel limite del possibile, di rispondere a questo parlando della mia esperienza, parto sempre da una considerazione: non mi sono mai sentita sola, è vero, ma rispetto a ciò che volevo indagare questo Qualcosa con cui parlavo non mi ha mai offerto scuse né scorciatoie. Non mi ha reso la vita facile, non mi ha offerto latte caldo e biscotti, anzi, mi ha spinta a guardare continuamente negli angoli bui di me stessa, mi ha chiesto di riconoscere di esserne responsabile, riportandomi sempre dagli altri a me stessa, da fuori a dentro, finchè questo dentro non è diventato tutto ciò che era rimasto. E Dio, aveva posto per ognuno dei miei abissi; per la mia imperfezione, per i miei difetti, per ciò che non ero. Non avevo mai trovato una relazione in cui poter essere tutto, in cui ogni situazione allo stesso modo trovava accoglienza. Niente era più estraneo, niente faceva più paura nel guardarmi allo specchio, perché niente poteva essere diverso da Dio stesso; non era la semplice sensazione di essere amata, ma Dio era già ogni atomo di me. In questa relazione così intensa, ho perso l’idea della santità che molti coltivano pensando a Dio. Cerco ogni giorno, come tutti, di migliorare me stessa, ma sono disponibile ad osservare anche i miei fallimenti, ed è in questo spazio che ogni mia sfumatura si annulla. Non cerco di essere perfetta, accetto ciò che non sono capace di essere in ogni momento. La Totalità è questa, non è la scelta di un solo lato dell’esperienza. Ho già detto infatti di come inferno e paradiso vadano a braccetto, e di come vadano accolti e lasciati andare insieme. Attaccarsi alle esperienze di estasi che incontriamo in pratiche come la Meditazione, o all’idea della compassione come ideale, non fa che spostarci fuori da ciò che siamo già.

Dio, in quanto Assoluto, è quindi il fattore imprescindibile del modo in cui partecipo all’esperienza della vita, la risposta a cui ogni domanda si adatta e conduce, che ogni via rivela. La natura assoluta, e dunque eterna ed infinita, degli eventi che percepiamo, li colloca fuori dalla portata della comprensione logica attuata dalla mente. In altri termini, nessun evento può essere conosciuto davvero, perché la sua radice ultima, ciò da cui sorge, risiede nell’infinito, e tale infinito è vuoto. Quindi non soltanto è una radice situata in luoghi inaccessibili, ma ben più correttamente, non c’è inizio e non c’è causa. Anche qui tutto il discorso sull’inesistenza del tempo è descritto nei libri. Cosa ci rimane? Se non possiamo sapere e conoscere, come risolviamo i problemi della nostra vita? Ma anche qui la natura divina dell’Esistenza, annullando i limiti di ogni dimensione, riconduce ad un istante vuoto di Io in cui tutto è già fatto, e in cui niente accade, poiché nessuno è rimasto ad illudersi di percepire che qualcosa stia accadendo.

Più mi addentro lungo questa via, meno cose mi rimangono. Quando puoi sperimentare direttamente come la materia non sia un limite, come gli eventi non siano più grandi di te, come il tempo sia immobile e come tutto risponda a questa immobilità, non resta niente da chiedersi e niente da fare.

Non resta niente nemmeno da dire, ed è complicato questo aspetto in un mondo che non fa altro che trovare nuove cose da dire su tutto. E’ curioso pensare e constatare che l’Assoluto sia qualcosa di difficilmente presente nella nostra quotidianità. Cosa nella nostra vita ha un valore non soggetto a compromessi? Cos’è che oltrepassa la nostra natura duale, secondo la quale una cosa possiede un solo stato (buona o cattiva, giusta o sbagliata)?

Dio non era la mia domanda, infine mi è stato chiaro che il Tutto non poteva che essere ogni risposta. Così, il fattore Assoluto annulla ogni scarto e distanza, e la “realtà” dei nostri eventi (qualunque cosa intendiamo con questo termine) non ne è separata, ma finisce per coincidere con quel vuoto, in cui, a fronte del non accadere degli eventi, Qualcosa è presente. E’ presente sempre. Alla fine il cerchio si chiude: ciò che già era, è tutto ciò che rimane.


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