L'impossibile morte

 


Un capitolo così ampio deve essere affrontato una briciola alla volta. L’esperienza della ricerca interiore porta ad un certo punto a confrontarsi con l’idea della morte, e attraverso le canalizzazioni mi è capitato e mi capita di aiutare animali e i loro compagni umani a prepararsi a quel passaggio. Mi colpisce profondamente come la morte sia di per sé un evento che non può essere contemplato: essa è immancabilmente considerata ingiusta, e di per sé un fallimento quando arriva a seguito di una malattia. Rimane lo spettro nero da evitare. Questo lo ritrovo anche negli ambienti energetici/spirituali, che esaltano amore e luce, ma che più difficilmente portano nella pratica il tema dell’equanimità. Anche qui la morte rimane fuori da ciò che può essere accolto ed amato. 

Allora per comprendere perché è così difficile morire dobbiamo comprendere perché è così difficile vivere, e chiederci dunque cosa sia la vita. Trovo questa intera visione profondamente limitante, perché la morte, per quanto avversa e combattuta, rimane una costante inevitabile, e prima o poi arriverà, chiedendoci di fare i conti con lei.  La filosofia del vivere pienamente e facendo più cose possibili per poter morire senza rimorsi e rimpianti è una bella trovata, purtroppo però non sufficiente a risolvere la questione. Non voglio minimizzare la bellezza e pienezza dell’esperienza della vita, ma essa, come qualunque altro stato che ci attraversa, è solo un momento dell’esistenza. Il problema di morire risiede nell’identificazione con ciò che vive, e questo è un limite incredibile alla nostra evoluzione interiore; quando poi è un limite posto dalle credenze che dovrebbero sospingerci verso Dio, beh allora questo diventa ancora più grave. 

La vita non è un dono fatto a noi, ma un respiro dell’esistenza, ed essa è ugualmente vita e morte, luce e tenebra. L’osservatore che si fa continuamente più indietro per poter arrivare ad osservare anche se stesso, qui deve fare un salto enorme, intendendo se stesso come colui che vive e muore, ugualmente, poiché se esso è Dio, allora deve poter contemplare l’Assoluto, di cui anche la morte fa parte. Se qualcosa resta fuori, egli sa di doversi spostare ancora più indietro. Ciò che cambia è soltanto la percezione che noi abbiamo di questi diversi stati, e ciò non scalfisce minimamente l’Essenza. 

Fra le difficoltà che riguardano il passaggio, c’è certamente quella che riguarda il dopo, e precisamente la nostra idea che concerne il dopo. Tutti ne abbiamo una, e quale che sia non importa, in qualche modo non ci è possibile non immaginarci più, pertanto cerchiamo una nuova immagine a cui poter fare riferimento. Che sia uno spirito, una nuova incarnazione o altro, noi manteniamo intatta l’idea dell’identità soggettiva, perché immaginiamo che la nostra identità coincida con la nostra coscienza. Dunque se non sento niente, non sono. Eppure questo ci capita ogni volta che andiamo a dormire, dove fatta salva l’esperienza onirica, per diverse ore un diverso stato di coscienza ci disconnette dalla percezione di ogni cosa. E’ un bisogno fondamentale del nostro corpo. Ma vivendo nel tempo, e sapendo che questo spegnimento dura poche ore ed è qualcosa da cui possiamo tornare, non ce ne facciamo un problema. Invece la morte è definitiva, una cessazione della nostra coscienza individuale, che segna il limite di ciò che siamo. E poiché pensiamo di sapere chi siamo, la morte diventa il confine che non può essere oltrepassato. 

Non lasciamo andare mai niente, non lasciamo mai che niente si trasformi. Noi creiamo la vita e la morte nelle nostre idee, e creiamo il corpo fisico, che permane anche quando privo di vita, a testimonianza del nostro attaccamento. Il corpo inesistente, lasciato libero da ogni idea, si trasforma in energia e scompare, si scompone letteralmente, senza lasciare traccia di sé (si veda la pratica del corpo arcobaleno dei Buddhisti), ma capite da voi come questo processo sia molto oltre a ciò a cui siamo abituati. La morte, come la vita, è un’idea. 

I grandi Maestri dicono che chi è veramente in ascolto di sé, può decidere come e quando lasciare l’esperienza che si è creato, come e quando smettere di creare gli attaccamenti che lo legano a questa condizione, e guadagnare la libertà. Non è la morte il problema, non da sola: l’idea di noi stessi lo è.

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