La continuità oltre gli eventi

 


Mi sono spesso chiesta cosa sia davvero un’esperienza, cosa davvero succede e a chi attraverso gli eventi. Immaginando di poter vedere l’infinitamente piccolo, la struttura della realtà diventa impalpabile ed inafferrabile, tanto da poter dire che non c’è realmente qualcosa che accade, perché nell’istante infinitamente piccolo si trova l’Immobilità. 

Possiamo allora pensare che ciò che chiamiamo evento sia semplicemente il nostro scarso vedere, che accorpa gli istanti in un insieme di significati che trovano riscontro rispetto a quella che crediamo essere la nostra storia. Per poter attribuire un significato a qualcosa devo avere un sistema di valore di riferimento. Anche così, le esperienze restano qualcosa di impalpabile, di non tangibile, e dunque esclusivamente personali, perché quel sistema di riferimento è puramente soggettivo. Ce le trasmettiamo tramite racconti, ma non viviamo mai lo stesso momento così come ciascuno di noi lo percepisce. Eppure, questa somma di istanti diventano la nostra storia, i nostri apprendimenti, le nostre lezioni. 

Se ci sforziamo di uscire dall’apparenza degli eventi a cui siamo aggrappati per cercare quella Totalità al fondo della nostra percezione di esistere, dentro ciascuno dei nostri istanti, possiamo riconoscere come ciò che ci trasforma accade (o non accade) oltre la profondità della manifestazione. Ci leghiamo agli eventi, ignari del fatto che il cuore di ogni esperienza è unico, ed è unico per tutti: travalica il senso mentale che attribuiamo alle cose, ed è un motore di trasformazione autonomo, come a dire che ogni trasformazione accade da sé senza bisogno di noi. E’ il mistero che trasforma un istante in un altro restando completamente immobile. 

Allora un’esperienza è semplicemente l’interpretazione che attribuiamo ad una vibrazione, ad una percezione indistinta; l’evento è soltanto un fenomeno interiore: rappresenta il nostro bisogno di sapere, di dare un nome alle cose, di creare confini e distinzioni, ma di per sé non è che un’eco di altre profondità, una corrente unica che scorre continuamente in quella direzione, senza bisogno di analisi o comprensione. 

Vivere direttamente significa diventare l’esperienza stessa, senza fare domande, tendendo a risiedere in quello spazio infinitesimale di continua trasformazione in cui nessuna identità trova spazio per addensarsi e consolidarsi. Resta solo un continuo divenire Altro. Credo sia questa la sensazione profonda che ci pervade quando ci mettiamo di fronte a qualcosa di cui non riusciamo a scorgere i confini, come il mare, o il cielo.

Il continuo tornare al respiro (o all’oggetto di osservazione che avete scelto), la resa a questo processo di continuità senza fine, è la chiave della trascendenza di ogni esperienza: senza passato e una struttura su cui poggiare, essa si disgrega, quale che sia, perdendo la propria realtà (e dunque il proprio potere) e lo spazio per potersi manifestare. 

Nessuna manifestazione resiste alla continuità, è semplice. 

L’unica vera domanda è se davvero stiamo cercando di lasciar andare qualcosa, insieme alla nostra idea di noi stessi, o se stiamo solo cercando di aggirare il problema di dover riconoscere la nostra illusorietà.

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