Istanti di vuoto
Solve et coagula. Gli alchimisti dicevano così. L’esperienza intera, comprensiva di vita e morte, sembra avere come essenza il ritmo di un respiro. Dal nulla qualcosa appare e si manifesta, cresce fino ad un limite che confina con quel vuoto iniziale per poi ridiscendere fino a scomparirvi di nuovo dentro.
La fisica quantistica ha spiegato e dimostrato che le particelle subatomiche che compongono gli atomi appaiono e scompaiono continuamente dal nulla. Gli oggetti che vediamo non hanno un’esistenza costante, ma letteralmente appaiono e scompaiono senza sosta da un qualche altro luogo, e l’unico motivo per cui continuano a riapparire uguali a se stessi è l’idea indubitabile che noi, in quanto osservatori che danno forma a ciò che osservano, abbiamo di essi. E’ perché credo che la sedia sia solida e fatta in quel modo che continua a solidificarsi tale e quale.
La stessa identica cosa accade al nostro corpo fisico. Si potrebbe soffermarsi a riflettere sul fatto che per dare forma a qualcosa devo prima averlo visto in me: come potrebbe un osservatore sapere cosa osservare diversamente? E infatti la fisica ha dimostrato anche come il tempo funzioni non dal passato al futuro ma in senso esattamente opposto.
Questo movimento è insito in ogni singolo istante concepibile: la materia, come la coscienza ad essa intrecciata, pulsa continuamente, incessantemente, offrendo ad ogni pulsazione infinite possibilità di manifestazione. L’universo si dissolve e si ricondensa in ogni momento, benchè il tempo stesso appaia soltanto sul piano della manifestazione. In quel vuoto dall’apparenza, l’assenza di tempo coincide con l’eternità. Questa reale discontinuità di permanenza del nostro essere riguarda appunto non solo il corpo, ma la nostra stessa mente, intesa come insieme di idee su noi stessi, cioè il nostro io.
L’intervallo fra le pulsazioni, neanche a dirlo, tende all'infinito. Di che cosa è fatto? Ora, quell’infinitamente microscopico intervallo fra le apparizioni delle particelle, non può che essere lo spazio in cui avviene potenzialmente ogni trasformazione. In realtà non si tratta di uno spazio vuoto fra il presentarsi di due stati diversi, distinto da essi: uno spazio infinitamente piccolo, è anche eternamente presente. Non si può infatti dire dove finisce il vuoto e dove comincia il pieno. Cos’è quel pieno? Dove finisce la densità della materia? Essa è fatta di quel vuoto da cui si addensa, e il suo continuo apparire ha la durata di infinitesimali frazioni di attimi. Di fatto è tutto un vuoto.
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