Della morte e di altri dettagli
L’avanzare del mio percorso interiore mi
spinge a mutare, nel corso del tempo, anche il modo in cui intendo alcuni
concetti, o per meglio dire il modo in cui preferisco rappresentarli a me
stessa e di conseguenza all’esterno. Poiché sono passaggi importanti
all’interno delle canalizzazioni, trovo doveroso riguardare ad argomenti come
la morte e le vite passate per meglio definire la prospettiva da cui io li
intendo, sempre ribadendo che ciò di cui parlo è la mia personale visione. Ciascuno si senta libero dentro ciò a cui crede.
La morte segna la fine di ogni individualità, di ogni “io”: tutto ciò che definisce chi siamo, chi crediamo di essere e con cui ci identifichiamo, dal corpo alla coscienza soggettiva, si fermano davanti a questa soglia. Quell’io coincide, interamente, con la nostra sensazione di esistere: è questo ciò che cessa definitivamente con la morte. Come sempre, è qualcosa che concettualmente ci è chiaro, eppure sempre più sottilmente permane in noi ben stabile in profondità la convinzione di qualcosa di noi che rimane immutato attraverso la vita e la morte.
Accade perché pensiamo
al passato ed al futuro attraverso la nostra identità, non potendo fare
diversamente: l’io non riesce ad immaginare ciò che è oltre se stesso. Pertanto
esso cerca una continuità per sè attraverso le vite passate, aggrappandosi a se
stesso attraverso l’idea di un’anima che si separa dal corpo per tornare in una
forma nuova. Ma esso identifica se stesso con quell’identità interiore. così che in definitiva non è
cambiato niente.
L’infrangersi dell’onda sulla riva determina la fine di quella forma, e ciò che segue a quell’onda è qualcosa di altro, che nulla ha a che fare con quell’identità (sempre tenendo bene a mente che nemmeno durante il corso della vita si può parlare davvero di un’identità reale). Allora come ci poniamo di fronte a queste tematiche? Certo la morte vista così diventa un evento ancora più spaventoso di quanto già ci appare, ci toglie ogni speranza e possibilità, ci mette di fronte all'incedere del tempo e alle nostre idee di scopo e realizzazione. Avremo fatto abbastanza? Quanto è importante lavorare in vita sul riconoscimento dell’illusorietà dell’io, è l’unico modo per arrivare davvero consapevoli a quel passaggio.
Se però non siamo in grado di lasciar andare quell’identità prima di arrivare davanti alla soglia, la fine ci coglie con un sacco di attaccamenti che perdureranno. Voglio spiegarmi meglio: che siamo pronti o no, la morte riguarda ineluttabilmente l’io, scordiamoci di esserci in seguito nell'identità che siamo abituati a considerarci. Tuttavia ciò che non abbiamo risolto dell’idea di noi stessi, rimane nell’energia come pura informazione, non legata ad alcuna identità. Tale informazione, come una particella, diverrà materiale per la costruzione di nuove forme, che avranno altre identità, ma che porteranno con sé, nella propria esperienza e costituzione, l’essenza di ciò che è pervenuto loro dalle esperienze di altri, dalla nostra.
Possiamo dunque parlare di vite passate, ma non delle “nostre”, poiché nulla di questo nostro io attuale c’era prima né ci sarà dopo. Ciò che prosegue, ciò che prende nuovamente forma, sono informazioni non dissolte, echi di dolore fondamentalmente. Di fatto, se la materia è il luogo in cui facciamo esperienza per imparare a trascendere la nostra soggettività, ne consegue che il continuare a prodursi di questa materia è l’espressione e l’indicazione di ciò che non è stato ancora lasciato andare. Di questo è fatto l'io.
Quindi, non ci sono anime o energie specifiche che possiamo aver incontrato in passato nel modo in cui lo intendiamo: ci sono sensazioni profonde legate a ciò che ci portiamo dietro, di cui siamo sostanzialmente fatti, ma che non devono essere intesi come una soggettività o un’identità. La vita e la morte sono una dualità compresa in ciò che li precede, cioè il Tutto: solo Quello esiste sempre, prima, durante e dopo il nostro io. Pertanto, siamo certamente fatti di qualcosa che non è limitata dal nostro arco temporale di vita, ma non possiamo confonderla con la nostra identità.
Per lasciar andare questi concetti totalmente dobbiamo indagare ciò che siamo realmente in modo diretto e personale, a partire dal nostro io per vedere come esso sprofondi e si riassorba in Dio. Non c’è altro che questo. Quando l’io muore, ciò che deve ancora essere sperimentato torna in circolo, sullo sfondo di un Assoluto immobile ed immutabile a cui ogni cosa fa inevitabilmente ritorno una volta lasciata andare, ma che sempre permea tanto la verità quanto la nostra illusione.
Quale enorme privilegio sentire di fare parte ed essere riassorbiti da questo incredibile Dio.
RispondiElimina