La melanzana scomparsa e l'Infinito



Oggi avevo voglia di pensare a qualcosa di leggero, e ho deciso di far ridere una cara amica che si è sentita raccontare la mia avventura, in cui come sempre la spiritualità si intreccia alle più comuni dinamiche quotidiane.

La scorsa settimana ho ritirato, come faccio quasi sempre, la spesa da una mia amica, che gentilmente la fa anche per me avendo il negozio vicino a casa. Pago, carico la borsa in macchina, arrivo a casa e metto tutto in frigo. Passano alcuni giorni, finchè mi sveglio una mattina con l’idea che quella sera avrei preparato la melanzana al forno per cena. Mentre traffico nel frigorifero per recuperare la marmellata per la colazione, mi accorgo di non vedere la melanzana. Ma non è mia abitudine, non più, preoccuparmi troppo delle cose o darmi pensiero di qualcosa di cui non sono sicura; essendo infatti mattina presto, sicuramente dovevo solo guardarci meglio. Nel corso della mattinata però divento più lucida, e cercando ovunque nel frigorifero mi accorgo che la melanzana proprio non c’è. Guardo bene anche fuori dal frigo, forse l’ho dimenticata nella sportina, ma niente. Scrivo alla mia amica per sapere se l’avevo scordata da lei quando avevo preso la borsa, e poiché non era neanche lì, mi sento dire: “Forse l’hai mangiata e non te ne sei accorta”. Non sono sicura se lo avesse detto scherzando o seriamente, visto che mi conosce molto bene, ma io ci ho dovuto pensare qualche minuto. Scartata poi quest’altra ipotesi, l’ovvia riflessione non poteva che rimanere la macchina (o un furto alieno), dove difatti è ricomparsa dopo essere rotolata sotto ad un sedile. Fortunatamente era ancora buona, perché non era ancora arrivato troppo caldo qui da noi, quindi la mia cena ha avuto un lieto fine. 

Ecco invece la versione della storia vista dall’interno. Il fatto che non mi sia accorta di aver perso quella palletta viola nei dieci minuti di strada da quando l’ho caricata a quando ho messo la spesa in frigo la dice lunga sul mio stato attuale di presenza agli eventi; chi mi conosce usa il termine “sradicata” per farla sembrare una cosa reversibile: non ne sono sicura. A maggior conferma visto che devo fermarmi a ricordare cosa ho fatto solo qualche giorno prima. La memoria, che ho sempre avuto ottima, è un’altra di quelle cose in cui in questo periodo riesco a riversare poca energia. Trattenere il passato è faticoso, tanto quanto preoccuparsi del futuro, e più mi immergo nel presente più dettagli sembro sorvolare nei miei ricordi, che rimangono vividi nella loro essenza, nel loro significato rispetto a me, ma che sembrano sbiadire nelle eccedenze delle immagini. Tutto per me attraversa queste fasi per diventare un’informazione fruibile a livelli profondi.

Ma la chicca del racconto risiede nel processo di ricerca dell’oggetto perduto, che sia la melanzana, un libro, o qualcosa di cui mi ricordo dopo molti anni e che ho voglia di rivedere. Tutto è Meditazione, lo dico sempre, tutto è ascolto, perciò chiudo gli occhi, respiro e resto con l’immagine di ciò che sto cercando. Non è un processo logico in cui mi arriva una risposta pronta; in qualche modo ad un certo punto sento che l’oggetto è stato “agganciato”, e non resta che aspettare che arrivi. Quando è il momento, so esattamente dove trovare ciò che stavo cercando, o me lo ritrovo davanti. Faccio questo sempre, per le più piccole cose, come ogni volta che perdo le palline del cane nel giardino per sapere in quale zona cercarle. Le cose più quotidiane della vita diventano così profondamente spirituali, perché in quel processo non c’è richiesta né azione.

Proprio per questo, la richiesta specifica che a volte mi viene fatta di ritrovare animali che si sono allontanati o perduti, non può trovare esito in termini di informazioni pratiche sulla posizione. La connessione con qualcuno o qualcosa, come descritto nei miei libri, non è un atto a se stante ma una condizione di fondo permanente, in cui si sta e si scende sempre più profondamente all’interno della propria percezione degli eventi, fino al loro dissolvimento, e dunque fino alla perdita di qualsia informazione. Questo dialogo costante non si focalizza su un determinato risultato, ma si apre alla disponibilità totale. Esattamente come per l’esempio della melanzana, l’animale viene “agganciato”, ma non è detto che questo si traduca nel suo ritorno materiale come lo immaginiamo noi. Viene da chiedersi a cosa serva allora tutto questo se non conduce a ritrovare ciò che va perduto, e la mia risposta è che dipende da cosa state cercando di ritrovare: finchè è qualcosa di esterno a voi stessi, potreste dover aspettare.

Questo modo di vivere, ben più ampio del semplice cercare cose, è una connessione costante che colloca ogni evento che vivo all’interno del quadro Infinito. Dalla macchina che si ferma, al dente che mi fa male, all’incontro particolare che può accadere, alla giornata storta, … tutto passa da quell’interiorità che è una condizione non di pretesa né di attesa, ma di Silenzio, in cui tutto è solo ascolto e partecipazione. Non cerco il significato dei miei eventi, ma quel punto sempre presente in cui io ed essi siamo la stessa cosa. Ciò che da questo si manifesta, non è affar mio.


“Il signor Palomar invidia le persone che sanno subito quale conto fare di una persona in rapporto a sé e in assoluto. “Queste doti – pensa Palomar col rimpianto di chi ne è privo – sono concesse a chi vive in armonia col mondo. A costoro riesce naturale stabilire un accordo non solo con le persone ma pure con le cose, con i luoghi, le situazioni, le occasioni (..) con l’aggregarsi degli aninimi e delle molecole (..) A chi è amico dell’universo, l’universo è amico. Potessi mai – sospira Palomar – essere anch’io così!” (Palomar – Italo Calvino)

 

Vedere questo, lo ammetto, mi sposta spesso da quella che viene chiamata realtà, in cui rimango qualcuno che perde la verdura per strada. Ma quando una melanzana ti racconta dell’Infinito, puoi davvero scegliere meno che concederti a questa visione?

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