Perdono
Accadono giorni,
fra i tanti, in cui maggiormente mi soffermo a considerare l’enorme dolore che
mi circonda, e mi è impossibile distrarre la mente o consolare il cuore da
quella sensazione di ineluttabilità. Ovunque
io guardi, a chiunque io chieda, il dolore accompagna ogni passo della nostra
vita e sembra nascondersi, inesauribile, dietro ad ogni angolo. Per un breve
momento allora, non riesco ad intravedere una soluzione, o la salvezza, né certamente
un senso che sia alla portata della mia mente, e mi rifugio nel pensiero del
futuro, delle prossime vite che immagino svolgersi altrove, in un luogo privo
di tale profonda rottura.
Mentre
formulo questo pensiero, ogni singola parola stride, e sembra cadere dal foglio
senza volermi offrire sostegno, ma ne comprendo il motivo: qualunque cosa io
stia osservando, il dolore è soltanto mio, quel brivido che scende fin nella
profondità delle mie viscere è prodotto dal mio cuore che si spezza. Non posso
separare la mia esperienza da quella dell’altro, sono in effetti lo stesso
spazio, in cui il mio sentire riflette la propria intera percezione. E infine,
quella crepa che si apre in me resta il mio vivere, in cui sono, sempre e irrimediabilmente,
sola a decidere cosa farne. Temo il dolore, perché non può che essere il mio, e
del resto ciò non può sorprendermi poichè l’esperienza mi riporta a considerare
come nessuno esista là fuori, e tutto rifletta soltanto me. Allora cosa sta
dando forma alle lacrime che questi specchi provocano in me? Quanta profondità
che non conosco mi impedisce di riconoscerlo? Dunque, se anche scappassi a
distanza di mille galassie o universi paralleli, non porterei forse con me lo
stesso sentimento? Non sono forse io stessa immagine di quella mancanza?
Mi domando
allora cosa sia veramente l’accettazione, cosa il perdono, che ben lontani dal
potersi intendere come atti volontari, accadono come fioriture nel momento in
cui, passato il pianto, smetto di scappare, nel momento in cui faccio ritorno
dai luoghi lontani dei miei pensieri, per avere cura dei miei istanti. E scelgo
di guardare dentro essi più in profondità del mio giudizio, intravedendo nel
dolore il sintomo di ciò che in me è rotto e diviso, e nel restare il luogo in
cui nulla in me lo è stato mai.
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