Elefanti nella mente

 


Tempo fa ho letto in un libro, credo di Osho, di questa storia, molto semplice in realtà, che spiegava come se ci viene detto di non pensare a qualcosa, quel qualcosa sarà esattamente l’unica cosa a cui riusciremo a pensare. Usava come esempio un elefante rosa, e da allora quell’immagine è rimasta per me proprio il simbolo del funzionamento della mente. Nel corso degli anni e della pratica di Meditazione ho incontrato profondamente questi meccanismi del pensiero, nel tentativo di superarli o di arrendermi ad essi. Non so come funzioni la mente degli altri, ma la mia è effettivamente parecchio ossessiva quando si punta su qualcosa, e personalmente non sono mai riuscita a dominarla, come molte pratiche dicono si dovrebbe imparare a fare. Ho dovuto cercare altre vie per conoscere ed attraversare me stessa, passando a fianco di tutti i miei elefanti rosa. E sono sempre stati tanti.

La mente è strana, per molto tempo ho pensato che fosse qualcosa da cui non era possibile scappare, perché in un modo o nell’altro erano sempre al suo interno le stanze fra cui mi muovevo. Emozioni, pensieri, sensazioni, … mi chiedevo cosa fosse Altro rispetto a tutto questo. Insomma, per non pensare all'elefante rosa lo devo per forza prima pensare, e questo mi rende impossibile non pensarlo. Tutto ciò di cui posso fare esperienza è già contenuto nelle possibilità dei miei pensieri, come posso andare oltre? 

Eppure, scendendo al suo interno parecchio, accade qualcosa di ancora più strano. Se inseguo un pensiero fino alla sua fonte, fino al punto in cui esso si genera, scopro che via via che ci arrivo il pensiero stesso si fa molto meno solido. Molto meno “mio”. Finchè scompare prima di raggiungere il suo stesso inizio. Amo immergermi in questo mondo folle a raccontarsi, ma così reale per me, in cui non ci sono regole a dettare condizioni. Allora estendendo questa ricerca ad ogni pensiero, ed emozione, accade che tutte quelle caratteristiche certe che hanno sempre definito il mio carattere e la mia personalità si rivelano soltanto delle scelte. Il mio modo di riflettere, i meccanismi con cui si attivano in me certi schemi di pensiero piuttosto che altri, sono solo abitudini, certamente ben  consolidate, ma comunque possibili di cambiamento in ogni momento. 

Quante cose mi chiedo di questa identità che mi porto dietro, quando penso ai tratti di me che vorrei cambiare o migliorare, o a quelli che proprio non vorrei mi appartenessero. Credo infine che l’identità sia solo il modo in cui scegliamo di vederci, l’immagine di noi a cui ci abituiamo. La domanda riguardo alla possibilità di cambiare noi stessi, in quali parti e a quali profondità, credo abbia attraversato la mente di ciascuno, e ne sono la prova i continui percorsi di ogni tipo in cui ci avventuriamo per essere diversi. Ma diversi come? 

Quando ciò che tiene insieme la nostra identità si fa effimero ed inconsistente, quando scopriamo di poter scegliere ogni singola volta come essere, ci scontriamo anche con l’inesistenza di un’immagine fissa che ci rappresenti, e ammettiamolo, non siamo per niente bravi con la flessibilità. Potrebbe tradursi con insicurezza, incertezza, incoerenza, disordine. Posso propormi un giorno in un modo ed il giorno successivo in un modo completamente diverso? La società mi dice di no, eppure proprio questo caos mi appare ciò che di concreto mi resta. Inoltre, ed è un punto decisamente importante, riconoscere l'inconsistenza dei pensieri mi permette di distaccarmene, cioè di non lasciarmene definire, potendo liberamente decidere di proporre un altra soluzione a ciò che emerge in me in modo automatico.

Tuttavia, questo continuo pensare a cosa proporre al mondo di me mi appare come un altro elefante rosa a cui non riesco a smettere di dedicare spazio nella mente. Non fa per me. Osho scriveva “la vita non è azione, ma reazione”, e questa sarebbe ancora un'azione. Alla fine l'unico modo di accompagnare l'elefante rosa al suo inizio è restare in quel luogo di inconsistenza, finchè nessun io prende più forma, e ciò che resta è solo reazione. 

Ecco, questo traguardo è stato da sempre il mio elefante rosa. E ancora, sempre, esso gira su se stesso nel proprio paradosso.

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