Luoghi comuni sulla Meditazione

 


Parlando di Meditazione, ci sono alcune domande o considerazioni che mi vengono rivolte abbastanza spesso, e che pur in riferimento alla mia singolare esperienza mi piacerebbe rivedere.

La prima grande differenza tra la Meditazione e tutte quelle discipline che siamo soliti trattare come materie, è che un’esperienza diretta non si può apprendere e non si può insegnare, perché indica il fatto che si svolga in uno spazio non accessibile ad altri, ad una profondità in cui ogni nozione scompare. Se intendiamo la Meditazione come la pratica dell’osservazione di sé, essa non richiede altro se non la disponibilità a porsi proprio nella posizione dell’osservatore che si distacca da ciò che osserva. Non va confusa con gli strumenti che ciascuno sceglie di usare per attraversare le proprie porte interiori: tutte le tecniche che vengono insegnate sono soltanto una ricerca della propria chiave personale, quella che più facilmente apre i propri anfratti più nascosti. La tecnica non è la Meditazione, e una volta giunti davanti ai alla propria soglia, nessun Maestro potrà accompagnarci, guidarci o dirci cosa troveremo. Siamo soli laggiù, alla profondità dell’esperienza diretta, e questo certamente fa paura ma è anche meraviglioso al tempo stesso. Fare nostra la via che stiamo percorrendo è un passaggio obbligatorio: siamo i soli responsabili di tutto ciò che incontriamo. Dobbiamo quindi comprendere che il lavoro personale non si può ridurre alla parte collettiva, ma richiede a ciascuno di incontrare e proprie solitudini.

A volte sento dire che la Meditazione non è indicata per tutti, o alla portata di chiunque, e credo che questo sia un grosso errore, perché di fatto è l’esercizio del ricordo della nostra vera Essenza, e dunque fa parte di ciascuno di noi senza eccezioni. Descriverla come qualcosa di inarrivabile (come spesso viene proposta e venduta), o soffermarsi su ciò che se ne dovrebbe guadagnare (visioni e capacità sensoriali amplificate) è un gran peccato. Per quanto sia ovvio che ciascuno la vive e la affronta a partire dal proprio momento specifico, con le risorse di cui è consapevole e secondo le domande che lo stanno guidando, la Meditazione è un luogo a cui tutti abbiamo ugualmente accesso, e che non necessita di pre-requisiti o di capacità specifiche. Essa riporta al presente, conduce al poter stare di fronte a se stessi interamente, perciò l’unico dubbio che si può porre circa la fattibilità dell’esperienza riguarda il sapere quanto si è disposti a scavare dentro sè, perché è certamente vero che essa mostrerà anche molte cose difficili da accettare e da lavorare. Comprendete come la Meditazione sia un percorso, in cui imparare a prendersi cura un passo dopo l’altro di ciò che via via emerge alla consapevolezza. Non sarà sempre un viaggio rilassante, ma quel luogo dentro noi stessi siamo noi.

Quando si parla di Meditazione uno dei concetti chiave che si incontra è quello relativo al distacco, che spesso viene profondamente frainteso con una sorta di indifferenza e di insensibilità verso le esperienze che vengono vissute. Chi sperimenta il distacco non sta rinunciando alle proprie emozioni, sta solo scegliendo di non lasciarsene definire, di non identificarsi con esse. Chi pratica davvero Meditazione sa benissimo che il distacco non è una fuga dalle proprie ferite, anzi; guadagnare la giusta distanza da ciò che si sta osservando impone una presenza costante a se stessi. Il distacco altro non rappresenta che il farsi osservatori di sé, collocandosi nel punto esatto in cui è possibile riconoscere se stessi mentre si osserva il quadro. La via del distacco mira a riconoscere un’identità più grande, rendendosi disponibili ad oltrepassare la propria.

Questo punto merita un’ulteriore considerazione, perché il nodo delle emozioni è una questione importante. Siamo profondamente legati ad esse, lo associamo al cuore, alla passione, e soprattutto le consideriamo parte della nostra identità come esseri umani rispetto ad altre specie, un elemento fondamentale nel giudizio che diamo a noi stessi e agli altri. Non siamo dunque disposti a mistificarla troppo, preferiamo “colpevolizzare” l’utilizzo della mente, come se le emozioni prendessero forma in qualche luogo diverso da essa. In effetti, il giudizio che possiamo dare a comportamenti eccessivamente emotivi non è mai tanto severo quanto quello che cade sulle persone “mentali”. Fare mostra di un’emotività ridotta è spesso associata sul piano interiore ad una maggiore distanza dalla spiritualità. Ritorna quindi il tema del distacco. Eppure, si tratta soltanto di strumenti differenti che abbiamo a disposizione per leggere l’esperienza che ci stiamo creando. Restare intrappolati nei propri pensieri non è per nulla diverso che rimanere invischiati nelle proprie emozioni. Il punto del discorso risiede sempre e comunque nell’attaccamento al nostro senso di identità, comunque esso si caratterizzi. E’ lo stessa dinamica che spesso vedo riproporsi rispetto a persone introverse, che preferiscono gestirsi internamente il proprio mondo anziché esternare ogni sensazione che provano. Queste persone sono spesso forzate ad aprirsi come se essere persone estroverse fosse la normalità a cui adeguarsi. Abbiamo caratteristiche diverse, che importa? Ciascuno di noi parte esattamente dal proprio momento e con le proprie risorse non per raggiungere un comune equilibrio, ma per riconoscere se stesso. La Totalità a cui cerchiamo di fare riferimento supera ed equipara tutti gli opposti. Nessuno dovrebbe essere diverso da come è, le vie che conducono all’interno sono individuali.

Spesso mi sento dire: “non sono molto costante nel fare meditazione, perché quando sono nervosa o triste non mi concentro”. Concentrarsi su cosa? La Meditazione è l’unico luogo che abbiamo in cui possiamo permetterci di far uscire ogni aspetto di noi stessi liberi dal giudizio altrui, non è una pratica di rilassamento. La nostra intenzione di pacificare e risolvere sempre ciò che sentiamo, questo si che è inteso come distacco e fuga dal momento presente. Al di là del fatto che è un po' come pensare che la palestra ci serva solo quando non abbiamo calorie da bruciare, se siamo disposti a tenere l’attenzione proprio su ciò che ci appesantisce in quel momento, possiamo imparare cosa significa avere cura delle nostre ferite. Dobbiamo smettere di volerci bene solo quando ci piacciamo, e accoglierci anche quando appariamo decisamente meno belli ai nostri stessi occhi. Dio risiede in ogni nostro luogo, perciò partite da quello che c’è, e vedrete come ciascuno di questi istanti è un’uguale via di accesso a sé.

Infine: la Meditazione non è una tecnica per lavorare su qualcosa, non mi stancherò mai di ripeterlo, perché purtroppo invece è spesso il modo in cui viene utilizzata. Non possiamo risolvere le nostre ferite, possiamo solo decidere di lasciarle andare, di smettere di crearle. Non troverete risposte facili o soluzioni alle vostre perplessità. La Meditazione vi farà perdere tutto. Scegliete pure una tecnica a cui aggrapparvi, prima o poi dovrete lasciarla andare, e in quel momento incontrerete la Meditazione.

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