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Quando ho iniziato a lavorare con le canalizzazioni, una delle prime frasi che ricordo di aver sentito, che tuttora mi accompagna come un’eco, diceva così: 

“Le esperienze arrivano quando sei pronto a farle, o perché non lo sei affatto. E’ la stessa cosa.”

La portata di queste parole mi sarebbe diventata chiara negli anni seguenti.

Provo a spiegarmi a partire da qui. Spesso le persone che incontro che iniziano ad approcciarsi alla Meditazione lamentano il fatto che le loro situazioni interiori sembrano aggravarsi ed amplificarsi anziché risolversi. Iniziano aspettandosi quiete e pace, e si ritrovano nel pieno dei propri conflitti. Pensando di aver sbagliato, di non essere capaci, o che la Meditazione non faccia per loro, rinunciano. Siamo abituati a pensare che la soluzione di un problema passi immediatamente dal miglioramento, e in questo la medicina classica della cura del corpo fisico ci ha ben depistati. Aimè, sul piano interiore la faccenda è diversa, ma preferisco fare un passo indietro ancora per poter spiegare come la Meditazione non sia una pratica per la pace, bensì piuttosto per andare in guerra. 

Se pensate di poter meditare solo quando siete tranquilli e sereni, o che il meditare vi debba immancabilmente rilassare, allora stiamo decisamente parlando di cose diverse. E poiché potremmo tradurre la Meditazione con la disponibilità all’ascolto di sé, non c’è modo che essa non faccia per voi. Il punto è piuttosto che la risposta alla disponibilità a guardare dentro se stessi, corrisponde al riuscire a vedere tutto ciò che proprio lì abbiamo nascosto a noi stessi. Perciò quando approcciamo la Meditazione, stiamo aprendo il nostro personale vaso di Pandora, e se conoscete la storia sapete bene che ad uscirne non saranno rose e fiori, ma dolori, dubbi, paure, incertezze ed incomprensioni. E’ questo che è richiesto di lasciar venire a galla. E poiché è qualcosa che spesso ci rifiutiamo accanitamente di fare, gli eventi che incontriamo possono proporsi in modo poco gentile, arrivando inaspettati, non compresi, travolgenti. Di solito questo accade proprio quando siamo all’inizio, comodi nella nostra inconsapevolezza, incapaci di vedere come ciò di cui abbiamo bisogno sia di essere forzati a spostarci da dove siamo. Non siamo pronti a fare un’esperienza, e proprio per questo la creiamo, a dimostrazione di quanto la nostra Essenza sia ben più ampia e ben altro rispetto a ciò che facciamo coincidere con la nostra identità.

Alla luce di questo, anche gli eventi che consideriamo negativi possono essere letti in un’ottica diversa, cioè come parte di un processo di consapevolezza e fuoriuscita. E’ una lettura che personalmente preferisco, rispetto a quella più generale in cui questo malessere indica in noi qualcosa che non è in equilibrio, perché pensare che si debba tendere sempre ad uno stato positivo lascia fuori troppe cose di noi. La natura della nostra identità, per quanto illusoria, è duale; significa che se non siamo disposti ad accettare di essere entrambe le facce della medaglia, non scopriremo mai chi siamo davvero. 

Allora, ciò per cui ci addoloriamo non è qualcosa da combattere, ma da accogliere, di cui semplicemente prendere consapevolezza. Quando al di là del giudizio lasciamo accadere in noi le sensazioni, le esperienze che ci accadono hanno tutte lo stesso valore: quello di permetterci di guardare ancora un po' più in profondità dentro noi stessi. In tutte, ugualmente, c’è questo stesso insegnamento, questa stessa possibilità.

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