La figura del Maestro

 


Ho sempre avuto una grandissima difficoltà ad accettare i Maestri, e non sto parlando di quelli che si proclamano tali, ma di quelli veri, quelli che quando li incontri non puoi fare a meno di capire che hai molta strada da percorrere, e che tu sei l’allievo. Questo scarto è sempre stato il mio problema, ben più profondamente del senso di soggezione ed inadeguatezza che tale figura può suggerirmi. Il Maestro è stato per molto tempo il simbolo di una distanza: da una parte colui che aveva raggiunto l’illuminazione e dall’altra colui che ancora era in viaggio. 

Era lo stesso annoso problema che mi proponeva anni prima la religione: che si trattasse di Dio o dell’illuminazione, si prospettava un traguardo da conseguire che era là davanti, ma non adesso. Il Maestro mi lasciava indietro, ancora inconclusa, creava una distanza tra me e la Verità, facendo da tramite al miraggio che desideravo raggiungere, ma che continuava a spostarsi. Il mio ostinato bisogno di calare l’Assoluto nella vita pratica mi rendeva ostico qualunque percorso in cui la meta non fosse qualcosa di già presente adesso. 

Certo, tutti i testi antichi dicono in effetti questo, che siamo tutti già illuminati ma non lo ricordiamo, non ne abbiamo consapevolezza perché distratti ed ingannati dalla mente. Pura maniacalità la mia, me ne rendo conto, ma ognuno procede con gli strumenti che ha a disposizione, e a ben guardare queste asserzioni, rimaneva il problema di una consapevolezza da rispolverare per poter toccare qualcosa che benchè già presente, si prospettava ineludibilmente distante, cioè richiedeva di saper fare qualcosa. Così per molto tempo il Maestro riecheggiava in me di quel monito al sapere di non essere ancora arrivata da qualche parte.

Solo rivedendo la mia idea di consapevolezza ho compreso lo scarto che prima non riuscivo a vedere, solo considerando come Dio, l’illuminazione, corrisponda alla Totalità, e dunque risieda in ogni parte di me. Non si trattava di eliminare la mente come se fosse estranea a questo Tutto, ma di entrare in ogni singolo istante fino a riconoscerne l’uno immutabile. Senza soffermarsi sul dubbio e sul pensiero di ciò che divide Dio e la Mente, essi sono già coincidenti. 

La Consapevolezza non riguarda il mio io, ciò che posso comprendere o migliorare di me stessa; non riguarda ciò a cui la mia singolarità ha accesso in termini di comprensione. Così ho smesso di tentare di arrivare a Dio passando dalla mia mente (cosa che facciamo ogni volta che lavoriamo su noi stessi) con un processo di divisione, e mi sono fermata, senza saper fare assolutamente nient’altro. Lasciato andare questo piccolo fattore, mi è stato chiaro il passaggio tra il mio essere consapevole di qualcosa e la Consapevolezza, o Presenza, che permea il mio io ma non ne è limitata. 

Smettendo di occuparmi di ciò che potevo comprendere, ciò che è già presente si è rivelato immediatamente come qualcosa che travalica le mie possibilità di comprenderlo, ma da cui sono interamente vissuta. Allora il percorso è diventato un viaggio senza meta e senza intenti, e il Maestro è diventato per me la manifestazione di questo lasciarsi vivere dall’Esistenza. Non più una mancanza, non più un pensiero, ma soltanto un fluire in cui ogni esperienza è viva e diretta, e diviene essa stessa il Maestro.

 


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