I tre piani dell'espressione

 


Mentre completavo il corso per operatrice olistica ho avuto l’occasione di effettuare un’interessante ricerca riguardo l’utilizzo della Meditazione, e nello specifico la sua relazione con la scrittura, che è la mia forma di espressione privilegiata. Questo discorso si applica però a qualunque altra forma espressiva, e non solo.

Io amo scrivere a mano, tutti i miei libri e gli appunti più importanti nascono direttamente dal movimento delle mani, allo stesso modo in cui quel movimento è ciò che imprime nella mia memoria le cose di cui mi devo ricordare. Senza carta e penna, la mia mente si sente scollegata, ma una volta trascritta la nota che non deve andare perduta, quel dato è automaticamente sedimentato. Quando proprio non trovo qualcosa su cui scrivere, disegno le parole nell’aria con le mani, e funziona allo stesso modo. Questo già mi ha fatto riflettere molto sulla relazione che esiste tra il movimento della mano e il mio inconscio: di qualunque meccanismo si tratti, rivela che ci sono vie molto dirette per ciò che sta oltre la nostra coscienza, tanto per entrare quanto per ricevere da quel luogo.

Questa ricerca mi ha fatto prendere consapevolezza di qualcosa che in qualche modo avevo notato, pur senza farci caso appieno appieno. Sostanzialmente il racconto è quello di un processo che evolve, in cui inizialmente la mente lavora a velocità molto superiore di quella della mano, che fatica a starle dietro. Quando comincio a scrivere, molti pensieri convergono nel mondo della materia e prendono forma sul foglio. Io tratto questo primo momento senza alcuna regola, senza curarmi di cosa sta uscendo o del fatto che abbia un senso logico: si tratta soltanto di un suono. 

Successivamente le due velocità sembrano trovare un proprio equilibrio ed incontrarsi: la mente si calma e si adegua, e ciò che fuoriesce inizia ad assumere contorni più definiti e a mostrare collegamenti fra le varie parti del “messaggio”, che diventa più comprensibile, cioè diventa più chiara l’intenzione che quelle parole vogliono mettere a fuoco e trasmettere. Il suono sembra diventare anche un’immagine. Oltre questo momento, la mente sembra spegnersi completamente, e la mano diventare più veloce, unica rimasta, a disegnare qualcosa che proviene da un luogo oltre la portata della coscienza e della consapevolezza. E’ questo momento che viene chiamato “canalizzazione”: un semplice liberare il passaggio. 

Come detto, questo processo è il medesimo per chi segue vie per esprimere se stesso: tutto è arte. In effetti, ho fatto caso a come questo processo riguardi anche le mie forme di comunicazione diretta, il modo in cui tento di spiegarmi e di vedermi, rispetto a me stessa ed agli altri. Si parte dalla mente, ma se si continua a scavare, o meglio a lasciare che tutto fuoriesca da sé, la mente viene superata. E’ qualcosa che accade da sé. 

Io lo considero un ottimo modo per ripulire e tirare fuori cosa da una profondità sempre maggiore, ma l’arte richiede sincerità e perseveranza: il non mettere filtri a ciò che esce; le “bozze”, cioè quegli ammassi di concetti sconnessi e senza senso da cui comincio e che a volte richiedono giorni interi per trovare ordine, sono in realtà la parte più interessante del gioco. Mostrano con chiarezza che da qualunque punto si parta, non si può che arrivare al proprio centro. Non ci sono altre strade, non ci sono altre direzioni.

Commenti

  1. Sempre vero quello che scrivi, sempre profondo e condivido quello che dici sull’arte, quale essa sia comincia sempre da una serie di bozze che alla fine trovano la loro espressione e manifestazione e lì… Ti ritrovi!
    Barbara

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