Informazioni aperte
Tempo fa al termine di una canalizzazione, la ragazza a cui la stavo restituendo mi ha detto: “Ma quindi la canalizzazione non è la storia personale di qualcuno? E’ la storia di tutti e di Tutto!”. E’ esattamente così, essere tutti collegati significa che non ci sono confini entro i quali una storia può essere soltanto la “mia”.
La
canalizzazione, come tanti altri strumenti, mette alla luce i nostri temi, quei
nodi su cui ci siamo incastrati. E forse guardando dalla superficie potrà
sembrare che altri stiano lavorando su problemi diversi, ma il dolore di fondo
da cui ogni nodo scaturisce rimane lo stesso per tutti, ed è il senso di
identificazione e divisione dal Tutto. Si potrebbe dire che siamo tutti persone
in grado di empatia: forse non comprendiamo il problema dell’altro, la
circostanza attraverso cui manifesta la propria sofferenza, ma al di là della
sua manifestazione, quel dolore lo conosciamo bene anche noi.
Certo, la fase di conoscenza di sé è
importante, mettere a fuoco quei punti con cui ci siamo identificati ci è molto
utile, ma a ben pensarci questo fa parte esattamente di un processo ben più
ampio di presa di consapevolezza, all’interno del quale la conoscenza mentale
di un problema ad un certo punto si arresta per diventare soltanto testimonianza.
Per questo le informazioni che arrivano attraverso un’esperienza come la canalizzazione sono aperte: non tracciano il racconto di eventi specifici a cui aggrapparsi, ma anzi volendosene liberare, si offrono come una traccia alla base delle manifestazioni che viviamo nel momento presente, all’interno delle quali può essere ricercata quella radice di fondo, quella qualità che caratterizza tutte le nostre esperienze in ogni momento della nostra giornata. La medesima ferita (abbandono o rifiuto ad esempio) può dare vita a reazioni e manifestazioni caratteriali diverse, ma non è l’evento in sé che importa, quanto il modo attraverso cui lo creiamo, quale che sia. Tutti gli eventi a cui diamo vita contengono quell’essenza: quello è il nostro personale attaccamento, la nostra identificazione, l’identità a cui restiamo aggrappati.
Tante volte la domanda che segue alla canalizzazione è “Quindi, cosa devo fare?”. Comprendo la necessità di cercare risposte alle domande che ci animano, ma pensare che queste risposte possano provenire da qualunque luogo al di fuori di noi è follia. Inoltre, e so che questa è la parte più ostica da accettare, in un percorso interiore non ci sono strade tracciate da poter seguire, ognuno costruisce i propri passi mentre sta camminando. Se le informazioni che arrivano fossero nette e precise, non sarebbero di alcuna utilità, perché sarebbero una delega alle proprie responsabilità; e comunque addentrarsi nella spiritualità significa perdere la meta per dedicarsi al viaggio.
Perciò quello che arriva è un invito alla ricerca, all’osservazione di sé, alla conoscenza e all’affidamento. Un’informazione aperta non è una risposta, e dunque non offre scuse di alcun tipo, nè alcuna certezza. E’ una possibilità, una perdita di definizione. Per questo dico che le canalizzazioni non si possono usare per pensare di risolvere qualche problema, anzi, bisognerebbe farle quando si è pronti ad accogliere e lasciar entrare parti nuove, anche scomode e complicate, lasciandosene cambiare., e chi è seriamente sul proprio percorso sa quanto a volte questo sia ben difficile.
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