Comunicare o essere

 


Per far comprendere la differenza, almeno per come io la percepisco, fra la canalizzazione e la comunicazione intuitiva/empatica, mi è venuto in mente questo esempio. 

Immaginate due foglie che galleggiano nel fiume che scorre. La comunicazione intuitiva è vista come un colloquio fra due enti diversi e distinti, e quindi è come immaginare che le due foglie si parlino fra loro raccontandosi informazioni e scambiandosi contenuti. Questa è la forma stessa di un qualsiasi tipo di comunicazione: unire due punti separati. 

La canalizzazione in questo senso non può nemmeno essere intesa come una vera e propria forma di comunicazione, poiché non riguarda le foglie, ma l’acqua che in ogni momento scorre sotto ad esse. Non soltanto è sempre diversa scorrendo, ma non è separata e distinta da una foglia all’altra. 

E’ pur vero che in un dato momento, come scattando una fotografia, la quantità di acqua che sostiene la foglia mi accenna anche di lei, ma essa diviene una parte di una storia più grande e ininterrotta, non un’entità a sé con una sua storia. Guardo alla foglia, ma essa mi racconta del fiume, inevitabilmente, nel suo esserne parte. 

Ecco perché la canalizzazione non può restituire informazioni di tipo pratico: essa non è un dialogo fra parti separate, ma oltrepassa l’identità personale, l’individualità che è alla base del dialogo stesso. Qui, l’altro con cui si entra in contatto è visto come una parte del Tutto e di sè, un vero e proprio riflesso o manifestazione, pertanto ciò che emerge non può riguardare direttamente l’altro, ma la sua natura universalmente condivisa. 

Si tocca cioè un piano più profondo di maggiore unità, un piano che precede e determina interamente quello della manifestazione, che però qui, proprio in quanto mera conseguenza soggetta ad infinite variabili, non viene presa in considerazione. 

La spiritualità non riguarda il piano della dualità, ma riconnette ogni elemento alla totalità. Perciò all'interno di una comunicazione cosa stiamo ricercando? Siamo disposti a perdere di vista la storia personale di superficie, della foglia, per vedere qualcosa di più collettivo?

 

 

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