Il punto di rottura
Con punto di rottura intendiamo il limite delle nostre risorse oltre il quale sentiamo di non poter andare, che si tratti di resistenza fisica o di tempra piscologica/emotiva. E’ il punto oltre il quale ci “rompiamo”. Le lunghe camminate in montagna quando ero giovane mi hanno fatto incontrare quel punto molte volte, così che ho imparato a riconoscerlo anche in altri contesti delle mie esperienze. E ho imparato anche che non si tratta di un limite invalicabile.
Bisogna
rallentare, ascoltare il corpo, la mente e i loro ritmi, senza però
interpretare quella lentezza come un fallimento o come il cedere sotto il peso
della fatica.
Sostando
sul ciglio di quel limite ad un certo punto accade qualcosa: l’intero sistema
reagisce, sembra trovare da qualche parte in sé delle risorse nuove a
disposizione. Si adatta, apprende, si allinea alla situazione ed allo sforzo
richiesto, e va oltre. E’ come una goccia che cade continuamente sulla roccia
fino a consumarla e a passarci attraverso. Nell’evoluzione continua niente è
mai davvero fermo, neanche quando muore; la natura della nostra manifestazione
è il movimento, benchè esso sia fatto di Immobilità.
La
questione del punto di rottura non riguarda ogni nostro aspetto: su ciascuno di
essi abbiamo diverse tolleranze, e diverse disponibilità a lasciar avanzare il
nostro limite. Quando ci scontriamo contro una fatica enorme (di comprendere un
problema, di calmare noi stessi, di concentrarci, di superare un’emozione
imponente che ci sovrasta, di lasciar andare qualcosa), dobbiamo prima di tutto
imparare a rallentare, perché se corriamo a gran velocità quella fatica diventa
un muro di cemento contro cui ci schiantiamo.
Vorrei
che comprendeste che il percorso interiore per come lo intendo io punta a far
perdere il nostro attaccamento all’identità che crediamo di essere: non è
qualcosa di così semplice da scardinare, siamo saldamente aggrappati a noi
stessi, e più le esperienze che incontriamo ci scavano in profondità, più ci
sembra di perdere la presa dal nostro scoglio sicuro, più ci sentiamo
affaticati e pieni di paura. Quella fatica non è un segno di fallimento, ma
l’indice di quanto stringiamo le dita attorno a ciò che non vogliamo lasciar
andare.
Allora
rallentare significa non andare via da quel muro che ci si para davanti, ma
concederci tempo. A volte, e io lo so molto bene, ci ostiniamo a prendere a
testate un muro per passare dall’altra parte quando di fianco a noi c’è una
porta. Ma a volte, la porta non c’è, va creata attraverso quel restare, quel
non lasciarsi convincere dall’apparenza del muro di essere invalicabile. Il
punto di rottura avviene quando smettiamo di dubitare del momento in cui ci
troviamo.
Il
dubbio, la paura il fallimento sono la caduta dalla bicicletta mentre stiamo
imparando ad andarci. Crescendo sapremo stare in equilibrio, ma continueremo a
cadere di fronte a nuovi ostacoli. Se riusciamo a vedere come niente di questo
sia una deviazione dal nostro percorso, come niente di questo sia uno sbaglio o
qualcosa che può portarci fuori strada, comprenderemo di essere sempre a casa.
Il posto in cui siamo è l’unico in cui dovremmo essere, ma non ha valore di per
sé, solo come parte della strada stessa. Oltre il punto di rottura, oltre la
sommità della collina, diventa visibile un insieme più grande, e la pendenza
scompare.
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