Personificazione
Echart Tolle nel suo libro “Il potere di Adesso” parla di come il nostro dolore per gli altri nasca dal processo di personificazione.
Ho iniziato a fare caso al fatto che questo concetto
non riguarda soltanto gli esseri umani, ma qualunque cosa io percepisca, che si
tratti di un sasso, di un albero, di un animale, o persino di un oggetto: su
tutto attuo inconsciamente ed immancabilmente questa operazione di
umanizzazione, ritrovandomi poi a piangere se la macchina si rompe come se lei
stesse soffrendo.
Credo che questo processo nasconda la nostra
impossibilità di considerare come la vita sia espressione di qualcosa di molto
più ampio di noi; così per tentare di capirla e ridurla a nostra misura, la
rendiamo simile a noi in ogni sua forma. Forse anche per poter comunicare con
lei.
Eppure, se riprendiamo ed uniamo tutti i discorsi già
fatti sull’assenza di tempo e spazio, sull’illusorietà dell’io e della materia,
arriviamo a sperimentare (perché capirlo con la mente non basta) che non rimane
nessuna storia di cui parlare.
Come ho già descritto nei miei libri, considero la
Spiritualità come la natura stessa di Dio che si manifesta in ogni forma,
quindi non sto sottraendo con questo discorso sacralità a ciò che incontro
nella mia percezione, anzi, ma tale sacralità deriva dall’essere Uno di tutte
le cose, e dal loro esistere solo nel vuoto del momento presente, il che
significa non avere un’identità singola.
Quell’irrinunciabile bisogno di uniformare ogni cosa al
mio sentire mi porta spesso a confondermi spostandomi dal mio centro, perché appena
concedo credito al passato ed alla storia di qualcuno, è come se stessi staccando
lui e me da quell’unico fluire. Mi sento di fare un torto ad entrambi.
La domanda che a volte mi viene rivolta su come io
affronto il dolore degli altri accanto a me passa in parte da questa
considerazione. Cerco di non vedere mai la persona che ho davanti, ma l’Infinito
che lo abita e che in quella forma si sta travestendo. E se il dolore di qualcuno
occupa certamente i miei pensieri, tale preoccupazione stessa non ha in sé una
storia temporale. Mi preoccupo un solo istante alla volta, e ciò che accade è
che senza questa continuità il pensiero perde il proprio potere, e dunque la
sua stessa apparente solidità.
Come sempre, penso sia più facile soffrire per qualcuno che accettare le implicazioni di un processo di risveglio in cui ciò che siamo, interamente, viene a crollare. Smettiamo di essere importanti, smettiamo di esistere per tornare ad essere Esistenza. Ma poiché Essa è Tutto, non può che essere impersonale.
Così il processo di personificazione rispecchia solo il nostro
bisogno di non perdere ciò che crediamo di essere, anche se questo significa
continuare a soffrire e sentirsi smarriti. Non è certamente un processo facile,
ma spesso è la domanda di fondo che ci guida a non essere chiara: stiamo
cercando la pace o la felicità? La seconda riguarda noi. La pace invece è già
disponibile.
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