Prospettive di un problema

 


In una canalizzazione di qualche mese fa è emersa una frase che mi ha colpita molto: “Se un ostacolo continua a tornare sulla tua strada significa che lo stai guardando dalla prospettiva sbagliata”. Mi sono sorte diverse riflessioni al riguardo.

Di primo acchito possiamo immaginare che la frase si riferisca al fatto che stiamo approcciando il problema erroneamente, e che dobbiamo cercare una metodologia diversa, differenti risorse. Una di queste potrebbe essere il ricordarsi sempre di guardare alle nostre esperienze nel loro insieme, uscendo dalla focalizzazione su un solo elemento. Un gatto molto saggio mi aveva fatto notare come per ciascuna delle nostre emozioni sia possibile trovare un contrappeso: se ci sentiamo tristi, possiamo ricordare anche i nostri momenti di felicità; se non ci sentiamo all’altezza in qualcosa, possiamo considerare in che cosa siamo invece molto capaci; e via così. Questo esercizio interiore mira a ricordarci che non ci sono elementi a se stanti, ma solo flussi e correlazioni (non in termini di causa-effetto) fra le nostre percezioni, che possono sempre trovare un punto di equilibrio.

Un’altra riflessione su questa frase mi ha riportata a quello che ci insegnavano al corso per istruttore cinofilo: se un “proprietario” lamenta lo stesso problema con cani diversi, è possibile che il problema sia dell’umano stesso. Quindi può essere che per affrontare un ostacolo ci si debba orientare in una direzione inaspettata, focalizzando la nostra attenzione non là dove vediamo il problema, ma cercando dove realmente origina, cioè non nelle circostanze esterne, ma all’interno di noi stessi. Qui quando parliamo di ostacolo intendiamo riferirci a quelle tendenze, attaccamenti, che tratteggiano la nostra singolare personalità e storia, quei comportamenti da cui non riusciamo ad uscire o che non possiamo abbandonare, come fossero una trafila di vizi e di dipendenze. Pertanto stiamo dicendo che l’invito potrebbe essere quello di ignorare la varietà delle infinite manifestazioni in cui il nostro stesso essere si manifesta come problema e andare direttamente a risiedere in quel punto di origine dell’essere stesso che determina ogni espressione.

Ancora: poichè la realtà che viviamo non è altro che un insieme di percezioni puramente personali, siamo noi a determinare cosa sia un problema e cosa no. Ciò che interpretiamo come tale diventa in sè il punto su cui ci fermiamo, anzichè essere quello da cui decidiamo di partire. Senza neanche accettare di stare dentro quella percezione, pensiamo a come cambiarla, e questo spesso è proprio ciò che ci rende difficile farlo. Stare nel momento presente senza giudizio, significa potersi radicare in se stessi, e materializzare il passo successivo. Se siamo in conflitto ed in opposizione con ciò che stiamo provando, non possiamo usarlo come elemento di trasformazione di se stesso. A me piace dire che dobbiamo partire da ciò che abbiamo, qualunque momento sia, e dunque accoglierlo senza averlo già etichettato.

Nel mondo energetico di solito pensiamo che se una situazione problematica continua a ripresentarsi è perché non ne abbiamo risolto completamente le ragioni alla base, e mai come in questo ambito siamo spinti a cercare collegamenti e cause dei nostri eventi. Facciamo allora un passo oltre, che potrà sembrare oltraggioso, spingendoci ad affermare, come somma di quanto sopra, che l’ostacolo esiste per nessun’altra ragione se non che noi lo consideriamo tale, e ci tengo a specificarlo, non in senso meramente filosofico. Non parliamo di buone intenzioni o di pensiero positivo, ma di quale sia la natura reale degli avvenimenti che viviamo. Se nel riuscire a vedere l’insieme di una situazione, come dicevamo prima, facendo un ampio passo indietro nella nostra osservazione per poter includere ogni possibile elemento, quello che otteniamo è una prospettiva totale, in tale integrità ogni contraddizione scompare, e dunque anche l’ostacolo come elemento stonato di conflitto. Qui parliamo, come sempre, del riuscire ad oltrepassare il modo duale del nostro vivere per riuscire a sperimentare quella totalità in cui ogni esperienza è in sostanza priva di attributi quali buona o cattiva. Esiste solo una totalità in perfetta armonia con se stessa, in cui non c'è attribuzione di valore agli eventi. Nel momento in cui il problema smette di essere tale e torna ad essere un semplice accadimento, automaticamente il nostro modo di attraversarlo cambia.

Può essere dunque che il vero suggerimento nascosto in questa frase si riferisca non al problema, ma alla mente che lo crea? Perché in questo senso non parliamo nemmeno più di affidamento, ma di superamento di quell’identità personale e duale che distingue e sceglie, che, da sempre, è il nostro unico, vero problema da risolvere.

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