Indifferenza e distacco
Alcune volte mi è capitato di vedere come il distacco che si apprende in meditazione dalla propria intera esperienza venga confuso con un senso di generale indifferenza, o di insensibilità. Nel processo di osservazione di se stessi, l’indifferenza consiste nel fare finta che qualcosa non ci sia. Molti di coloro che accusano gli altri di eccessivo distacco praticano proprio questa forma di finzione. Il distacco invece, o il non-attaccamento, richiedono di entrare profondamente in tutto ciò che viene avvertito, percepito o sperimentato, riconoscendo però che ciò che viene osservato non può essere se stessi. Poiché possiamo osservare solo qualcosa di diverso da noi, tutte le nostre esperienze interiori fatte di percezioni (e di nient’altro) possono essere trattate come apparizioni in un sogno, cioè irreali, e possono dunque essere lasciate scorrere. La differenza sostanziale è che l’indifferenza porta al non conoscere i propri meccanismi, le proprie ferite e soprattutto la realtà della propria esperienza di vita, subendo tutta una serie di movimenti che definiscono la forma della propria storia personale. Al contrario, chi accetta di farsi testimone di se stesso, impara a vedere come la propria mente funziona, e dove e come essa si riveli inconsistente, e oltrepassabile. Questo lavoro personale richiede tanta pazienza, costanza, meticolosità nell’osservare le proprie dualità, identificandosi con ciò che viene prima della nostra personale identità. Il distacco non è mancanza di interesse; semplicemente quando tutto è già parte del Tutto e non c’è più abitudine a prestare credito alle apparenti separazioni, niente richiede più alcuna preoccupazione o coinvolgimento.
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