La vita senza me
Nel leggere i grandi Maestri e saggi, c’era un punto preciso dei loro insegnamenti che mi è sempre risuonato tantissimo, ma che forse non avevo mai compreso a fondo: non mi era chiaro del tutto cosa intendessero dicendo che la percezione di noi stessi non è necessaria allo svolgimento della vita, anzi, che è proprio di troppo.
Il bambino appena nato non ha alcuna coscienza di se stesso, non sa ancora di esistere, in lui è quasi tutto inconscio, poichè la consapevolezza di sé arriva solo dopo qualche anno. Nel frattempo lui vive, apprende, cresce: tutto intorno a lui accade spontaneamente, senza il bisogno vitale di quella suddetta consapevolezza. Man mano che il bambino sviluppa la propria coscienza, dà forma a quel “me” individuale con cui si identifica e senza il quale si convince di non poter vivere, benchè sia già accaduto. Da quel momento in poi il “me” diventa tutto il mondo di quell’individuo.
Noi passiamo la nostra intera vita a modellare quell’identità, dimenticando che non ci è necessaria. Di fatto è una limitazione il confinare nello spazio del corpo che chiamiamo “noi stess⁸i” l’infinito potenziale della totalità della manifestazione. Il bambino che non percepisce ancora se stesso è nello stato naturale dell’esistenza. E’ un gran peccato perdere di vista quella condizione: tornare a dimorarci è il punto fondamentale del lavoro interiore di evoluzione, quel processo di disidentificazione che porta a rimuovere completamente l’io che percepisce se stesso, restituendo la vita alla vita, la manifestazione a Dio.
L’esistenza è Una, non conosce alcun “io” separato.
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