Riunificare lo spazio

 


Fra i temi emersi nella canalizzazione del 2025, credo che quello della riunificazione dello spazio del nostro vivere meriti qualche approfondimento. 

Siamo tutti abituati a considerarci individui singoli, che esistono separatamente gli uni dagli altri, e che di conseguenza hanno un proprio spazio “interno” (quello che assegniamo alle percezioni, al nostro sentire, ma che allarghiamo anche ai pensieri ed alle emozioni, e che ha come confine il corpo fisico) rispetto ad un altro spazio “esterno” che riguarda gli altri, ma anche gli eventi in generale, che noi temiamo, inseguiamo, rifuggiamo o tentiamo di modellare. Questa divisione diventa evidente all’inizio di un percorso di conoscenza di sé, quando le consapevolezze che via via maturano sull’illusorietà dell’esistenza si scontrano con un sentire diverso, con obblighi e compromessi imposti dal vivere quotidiano che sembrano non lasciare spazio alla nostra interiorità di fiorire pienamente. Allora queste due dimensioni apparentemente divise vengono vissute con grande fatica e conflitto. 

Tanta parte del percorso interiore ad un certo punto mira a far comprendere come in realtà ciò che appare fuori sia la proiezione di ciò che esiste all’interno, ma se il tentativo è quello di riunificare due spazi distanti, non possiamo continuare ad attardarci su questo concetto intendendolo come un’azione intenzionale, evidentemente intrisa di desideri ed attaccamenti. Un albero proietta la sua ombra al suolo: l’albero è reale, l’ombra esiste soltanto come proiezione, cioè senza una vita propria; l’albero non tenta di spostare la sua ombra per comodità personale.

Ora qui il punto, come sempre è molto più sottile e si sposta sull’annullamento dell’identità personale: si generano spazi separati perché noi suddividiamo la nostra percezione in base all’apparente separazione delle forme, dimenticando che rispetto a ciascuno di noi l’universo appare e viene sperimentato soltanto all’interno della stessa coscienza, cioè di un unico spazio. Non esiste nessun “altro” diverso e separato da noi in un qualche “fuori” rispetto a noi: esiste un solo spazio in cui tutte le cose vengono percepite, che si tratti di un pensiero di una forma-persona, di altri individui e di tutti gli eventi. Tutto ciò che non appare nella mia coscienza non può essere percepito né sperimentato, si potrebbe dire che per me non esiste. 

Riunificare lo spazio significa riconoscere questo punto di prospettiva totalitario, che da una parte dovrebbe spingerci a domandarci dunque della reale natura dei fenomeni che percepiamo, e che dall’altra compie qualcosa di inaspettato: ingloba persino se stesso. Nella canalizzazione si parla anche di osservazione, e dobbiamo ricordare ciò che sappiamo già: tutto ciò che può essere osservato, che è oggetto di osservazione, non può essere la nostra vera natura, in quanto “separato” da noi. Non possiamo perciò pensare di esaurire questo esercizio di distacco nei nostri momenti di pratica, ma dobbiamo iniziare a realizzarlo in ogni momento della nostra giornata, questa è una premessa irrinunciabile, soprattutto perché il processo di osservazione deve espandersi fino ad inglobare tutto senza distinzioni, includendo le mie sensazioni al pari di altre forme di movimento. Quando tutto viene considerato ugualmente illusorio, senza concessione di realtà ad alcuni punti piuttosto che ad altri, allora rimane soltanto colui che osserva, e in seguito nemmeno più lui.

 Come è evidente, continuiamo a parlare del bisogno di riconoscere ciò che è reale da ciò che non lo è, indagando e considerando ugualmente inesistenti tutti gli oggetti della nostra percezione. Lo spazio può essere riunificato solo in assenza di ciò che lo divide, cioè l’io.

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