All'interno all'infinito

 


Il tema della ricerca di un compromesso tra la nostra interiorità e la parte fisica è qualcosa di cui abbiamo parlato spesso. Quello che mi ha sempre colpito non è tanto la convinzione di fondo che si tratti di due luoghi distinti e separati, quanto il fatto che infine, per quanto ci vogliamo girare intorno, ogni nostra azione o ricerca è finalizzata alla parte tangibile, al nostro vivere, alle percezioni ed alle esperienze che viviamo. Sembrerebbe scontata come direzione, cos’altro dovrebbe esserci? A cos’altro dovremmo puntare? 

Eppure, chi ha davvero provato l’esperienza della meditazione pura, sa che volgere lo sguardo all’interno e andare in profondità conduce ad un riassorbimento dell’esperienza percepibile. In pratica la nostra identità e la nostra capacità di percepire collassano in se stesse e rimane qualcosa che non è più nemmeno un sentire. Non comprendo come sia possibile ignorare la verità di quel qualcosa che rimane, che sopravvive a noi ed all’esperienza del vivere. Ci dice che c’è qualcos’altro. Se la ricerca interiore non puntasse ad un compromesso? Se stessimo continuando a tenere due occhi in direzioni diverse? 

Quando descrivo le immagini dei trattamenti che faccio mi piace sempre dire di tenere lo sguardo su ciò che appare dentro anziché sul fuori, ma non si tratta di fare una scelta: si tratta di tenere per buono l’unico punto di prospettiva reale, l’unico dal quale è possibile constatare che ciò che chiamiamo fuori si produce dal dentro come sua emanazione, e non ha una vita propria. 

“Stare dentro” significa rifiutare la validità di ciò che percepiamo a favore di quel qualcosa che rimane, che viene prima di ogni esperienza e percezione. E’ un viaggio senza ritorno, in cui scompare qualunque osservatore e dunque anche il mondo stesso.

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