Non-oppressione

 


E’ difficile spiegare cosa questo termine vuole riassumere e simboleggiare nei miei concetti. Ho sempre percepito la mia intera vita come un continuo aggiustamento: pensare a come sono, a come devo essere, a come adattare ogni gesto ed espressione, a come migliorarmi, a come interpretare gli eventi, a come inserirmi nelle situazioni, a come gli altri mi vedono, … Quel semplice essere senza alcun pensiero che lo renda incerto sembra essere quasi impossibile. Forse per questo chiamano queste sensazioni come “mal di vivere”. 

La pratica della Meditazione che insegna a farsi osservatori di se stessi mira a spostare la prospettiva sempre più indietro, includendo nel quadro ogni singolo elemento che possa sorgere in noi. Questo significa che partendo da un pensiero che sto osservando, devo rendere ugualmente oggetto anche le successive considerazioni circa quel pensiero, le emozioni collegate, le sensazioni che si generano come anelli di una catena l’una dall’altra, …, tutto. L’osservatore non deve riuscire a trovare un singolo punto di appoggio su cui potersi soffermare, solo in questo modo alla fine scompare. 

In questa continua inclusione, quel senso di oppressione sull’Essere si allenta e svanisce, perché tutte le manifestazioni interiori vengono poste sullo stesso piano senza più un centro valido rispetto ad un contorno. E’ infatti quel punto di ancoraggio che rende reali anche gli elementi intorno. Osho diceva che noi non abbiamo un centro, e benchè in Meditazione si parta dal centrarsi da qualche parte, si tratta di una fase che infine lascia andare se stessa. 

Tutto di noi ha la stessa sacralità, nonché la medesima natura illusoria, tutto ciò che appare nella nostra percezione. Non c’è qualcosa su cui dover agire, né un punto dal quale poter agire. E’ tutto un Vuoto. Non resta alcun punto di riferimento, alcun appiglio: proprio lì, finisce l’oppressione e inizia la libertà della vita che scorre per sé.

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