Accettazione ed Essenza
Sorvolando sull’abissale differenza tra rassegnazione ed
accettazione, dobbiamo specificare come anche questa ultima condizione non sia
sufficiente per la comprensione del lasciar andare. Ci dogliamo di come anche i
più impegnativi percorsi interiori a volte non siano sufficienti a cambiare
alcune parti di noi, ma il fatto è che, come altra cosa della nostra mente,
l’accettazione così definita è soltanto un pensiero, che fa riferimento ad un
soggetto e ad un oggetto che deve essere accettato. Continuiamo a proiettare la
nostra ricerca all’esterno, dando forma ad un Dio a cui rivolgerci, ad un
Universo che ci impartisce lezioni da comprendere, ad un karma che si occupa
della nostra morale. Così l’accettazione diventa, ancora una volta, un processo
di separazione, che altro non riflette se non quella percezione di separazione
in noi. Il dentro ed il fuori, il corpo e l’anima, la mente ed il silenzio, Dio
e l’io. L’accettazione è dunque ciò che appartiene all’osservatore, e solo
quando egli diviene osservazione, l’accettazione diventa essere, essenza,
contemplazione.
Quando mi sveglio e vedo una fitta e umida nebbia, il mio umore
non è certamente lo stesso che corrisponde ad una bella e fresca giornata di
sole, ma l’accettazione non risiede nel dire a me stessa: “Va bene, non mi
piace ma godiamocela lo stesso”: risiede nel non percepire alcun giudizio
rispetto ai miei stati differenti, nel non sentire il bisogno di tendere ad
alcuno stato particolare differente da quello in cui mi trovo. Risiede nel non
trasformare il mio sentire in un pensiero, e dunque nel non creare distinzione.
Solo così, ogni stato scompare da sé.
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